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sabato 20 novembre 2010

Recensione Pubblicata da (ale) su "Good Times Bad Times" (King Crimson-Red)


Red è l'album della maturazione Crimsoniana. E' il primo album dai tempi di Island (1971) che riutilizza musicisti esterni come session man che variano in ogni traccia. E' il lavoro in cui si notano tutte (o la maggior parte ) delle caratteristiche principali che influenzano i Re Cremisi. E alla fine dell'ascolto di questo album viene veramente da dire che sono dei "Re".

Il tutto inizia con la title track che diventerà successivamente un simbolo live del gruppo, proposta e riproposta molte volte e sempre con un effetto devastante. Il riff carica e il suono è reso più potente dalle diverse tonalità e dalla sovraincisione che il gruppo ha eseguito in studio (sembra ci siano più chitarre ma è lo stessoFripp a suonare) . Da qui emerge la prima caratteristica del gruppo, il brano completamente strumentale che si era imposto decisamente nel precedente albumLarks' Tongues In Aspic (1973) e le sue rispettive title track. Non manca nel pezzo centrale la collaborazione di musicisti esterni con il violino di David Cross, elemento musicale in alcuni gruppi come i Kansas quasi dominante. Primo brano completato e l'effetto è quello di un inizio alquanto spumeggiante. Il secondo pezzo è il primo cantato, Fallen Angel; lì emerge la voce di John Wetton che sembra calzante a pennello, lui che di lì a poco diventerà il frontman per alcuni anni degli Uriah Heep (da notare la sua voce come sia simile a quella del passato Greg Lake e del futuro Adrian Belew). L'oboe di Robin Miller e la cornetta Mark Charig rendo le strofe così sinuose e quasi celestiali per poi arrivare ai tratti più duri e marcati dove da protagonista la fanno Robert Fripp con la sua chitarra e Ian McDonald (non suonava con i King Crimson da In The Court Of The Crimson King (1969)) con il suo sassofono "pazzo" che verrà preso come esempio da altri gruppi come gli Zu in Italia. Dopo il pezzo "dolce" si passa a una canzone dai tratti più hard fino ad arrivare alla classica sperimentazione-psichedelia che fa di loro dei maestri. One More Rednightmare ha un riff iniziale coinvolgente dove si esprime in tutta la sua bravura e fantasia anche Bill Bruford, e stiamo parlando di un batterista che ha fatto la storia anche con gli Yes. E' il brano dove ancor di più si percepisce la padronanza del Sax diMcDonald. Peccato che si interrompa cosi bruscamente per la fine del nastro. Probabilmente chi ha ascoltato ques'album per la prima volta prima di arrivare alla canzone successiva, ha pensato che mancava un elemento tipico dei King Crimson, quello della completa improvvisazione. Questo è Providence, una canzone completamente improvvisata in live e rielaborata in studio come loro stile dove ognuno dà sfogo alla propria fantasia. Manca un ultimo tocco per rendere l'album eccezionale. Una pietra miliare del Progressive. Starless è l'ultima canzone dell'album, un brano epico per una fine epica. In questo pezzo Fripp si diletta nell'utilizzo del Mellotron, strumento classico del Prog, che carratterizza la prima parte della traccia. Se si ascolta la canzone attentamente si nota come il pezzo quasi vada in progressione, dal dolce al più marcato ma comunque lineare nella sua struttura. Nella parte centrale il tutto è caratterizzato da accordi ripetuti che accompagnano le percussioni di Bruford che aumentano di ritmo mano a mano per poi avere un brusco cambio di velocità all'ultimo. Ed è proprio quando si finisce di ascoltare questa canzone che si può definire l'album una pietra miliare. Un estremo capolavoro Progressive. Uno di quelli che andava ad arricchire la collezione visti quanti all'epoca se ne producevano.

Dopo Red i King Crimson si sciolsero per qualche anno, tornando con una formazione del tutto diversa solo nel 1981 in cui cambiò lo stile ma il tipo di approccio alla musica rimase sempre quello che li ha contraddistinti come uno dei gruppi più innovativi mai esistiti e lasciarono i loro fan con la bava alla bocca ma soprattutto con stile come fanno le vere leggende. L'album viene classificato dalla rivista Q Magazine come 19esimo album più duro della storia ma di citazioni nelle classifiche di Rolling Stone manco a parlarne. Si dice che questo lavoro sia uno di quelli che ha influenzato in maniera netta Kurt Cobain e i Nirvana. Come per le grandi opere d'arte spesso viene citato nel panorama musicale e si ha l'impressione che verrà citato sempre.

Voto: 9+

Recensione Pubblicata da (ale) su "Good Times Bad Times" (Dream Theater-Six Degrees Of Inner Turbulence)


I Dream Theater sono uno dei gruppi più amati/odiati della storia. Alcuni li definisco dei “mostri” altri eccessivamente tecnici con una nuova generazione più aperta musicalmente verso di loro rispetto alle persone attaccate totalmente al classico Prog sinfonico anni ’70 che comunque sia rimane il migliore. Avevano iniziato alla grande, il secondo album Images And Words (1992) rimane un capolavoro del Metal, un album in cui si alternano i momenti di dolcezza con quelli più cattivi e quelli più virtuosi. Con il passare degli anni i DT diventeranno più macabri (Awake (1994)), più semplici (Falling Into Infinity (1997)), più complessi (A Change Of Seasons (1995)) fino ad arrivare all’approdo diRudess che darà una ventata di virtuosismo e freschezza e che si allontana dal suono più classico di Kevin Moore e da quello tipico Hard-Rock di Derek Sherinian.Metropolis Pt.2 (1999) è un concept fantastico estremamente completo che precede un altro album probabilmente troppo sottovalutato: Six Degrees Of Inner Turbulence.

L’album è diviso in 2 cd; un concept strutturato che a volte carica e a volte strappa lacrime. Il tutto inizia con un’apertura devastante. The Glass Prison è il primo dei 5 capitoli (il migliore di tutti) dedicato al creatore degli alcolisti anonimi di cui Mike Portnoy ha fatto parte per passati problemi di alcolismo. Il ritmo decolla subito con un riff potentissimo di Petrucci accompagnato da un Portnoy scatenato, il tutto terminerà prima con uno scambio di assoli tra Rudess e Petrucci in cui anche John Myung imprime un suono potente e profondo e poi con una fine che lascia intravedere un seguito (This Dying Soul). Segue la seconda canzone: Blind Faith che va da un progredire come se stesse calmando gli animi accelerati precedentemente da The Glass Prison per poi tornare ad una parte centrale dove, come caratteristica del gruppo americano tutti danno sfogo alla loro tecnica e in questo caso soprattutto Jordan Rudess, eletto come miglior tastierista Prog di tutti i tempi dietro a Keith Emerson (suo grande idolo), dove prima si diletta con il pianoforte per poi arrivare al suono tipico dell’Hammond di Jon Lord e richiamare i precedessori del Prog come se fosse una scaletta che poi li porta a tornare alle tipiche sonorità del gruppo. La seguente Misunderstood è decisamente più psichedelica, qui le tastiere e la chitarra si scambiano suoni particolari che rimandano un po’ alle tecniche utilizzate dai Radiohead in album come Kid A o Amnesiac. Ciò che viene dopo è un incredibile Portnoy che inizia con una delle introduzioni più spettacolari mai sentite e dà inizio a una canzone meno Prog più Heavy. The Great Debate è stata una delle canzoni più ingiustamente trascurate dai Dream Theater nei live, infatti attualmente sui vari motori di ricerca non esistono video ufficiali che la band ha registrato per questa canzone, cosa che per The Glass Prison, Blind Faith e altre invece c’è. Disappear è l’ultimo brano del primo disco, un brano leggero quasi a lasciar intendere una conclusione a lieto fine, quasi a far capire che manca il pezzo culminante, quello che rende l’album un capolavoro del Progressive Metal. Il secondo disco è una suite di 42 minuti dal nome omonimo dell’album divisa in otto capitoli riproposta per intero in modo commovente con l’Octavarium Orchestra in occasione del dvd/cd Score (2006) registrato in onore dei 20 anni di attività della band. Il primo capitolo è l'Overture e come quasi sempre capita è uno dei punti se non il frangente culminante di tutta una suite. Nell’edizione live i DT preferiscono giustamente lasciare spazio alla sola orchestra mentre in studio è la stessa orchestra che segue Portnoy che chiude il primo capitolo lasciando spazio alla dolce introduzione di Rudess con pianoforte per About To Crash che sfocia in animi molto più accessi con War Inside My Head che a sua volta introduce The Test That Stumped Them All, tutte e due caratterizzate da un ottimo scambio di voci tra Portnoy e LaBrie. Come da rituale dopo una parte più Heavy i toni si fanno più pacati grazie soprattutto a Goodnight Kiss che ha all’interno uno dei più bei assoli composti da John Petrucci, accompagnato dall’orchestra, uno di quegli assoli alla The Spirit Carries On che richiama le caratteristiche Floydiane alla Comfortably Numb dove si lascia spazio alla melodia invece che alla tecnica individuale. Il brano che segue,Solitary Shell, è un brano che induce allegria e di cui i DT non hanno mai negato delle analogie con Solsbury Hill di Peter Gabriel, che perviene nella ripresa diAbout To Crash cosi come era stato fatto in Metropolis Pt.2 dove One Last Time riprendeva l’Overture iniziale. Manca il gran finale che come detto si chiama proprio Grand Finale o Losing Time come voi preferiate che alla fine non lascia altro che uno sgomento positivo nei confronti di chi ha ascoltato che non può far altro che applaudire i membri del gruppo e soprattutto la decisiva orchestra che poi verrà ripresa in altre canzoni di Octavarium (2005) come l’omonima suite e Sacrificed Sons.

Obiettivamente i DT possono anche essere disprezzati ma bisogna sempre pur ritenere che sono un grande gruppo non solo per la bravura dei componenti ma anche per l’abilità nel comporre. Che poi siano diventati sempre più cattivi e che abbiano prodotto un ultimo album non all’altezza del nome non ci sono dubbi ma storicamente probabilmente quei due dischi d’oro e quel singolo disco di platino potevano essere molti di più, non che ricevere premi sia cosi importante considerando chi oggi li vince. Da notare non solo quello che hanno fatto i DT ma anche quello che hanno composto tutti i componenti all’esterno; un eccellente Rudess sia solista che con Steven Wilson, un virtuosissimo John Petrucci nel suo lavoro Suspended Animation e un grandissimo Portnoy nei suoi vari progetti tra cui i Transatlantic senza scordare i Liquid Tension Experiment. Unica nota stonata è LaBrie forse il meno Prog all’interno del gruppo che tuttavia rappresenta una delle loro caratteristiche fondamentali ma che vedendo i suo lavori solisti (tanto per citarne uno Elments Of Persuation) non sembra all’altezza dal punto di vista della vena creativa anche avendo una voce che ha fatto la storia. Six Degrees Of Inner Turbulence è un album pieno di grinta in cui finalmente il gruppo riesce ad esprimersi senza dar conto alle restrizioni delle case discografiche, è l’album che incorona questo gruppo tra i grandi del Metal e Portnoy tra i più grandi batteristi di tutti i tempi.

Voto: 8

martedì 2 novembre 2010

Nascita del blog di Progressive World (il nostro ProgBlog) !

Cari amici Prog e non, benvenuti! Abbiamo deciso di creare questo blog in onore della nostra pagina omonima su facebook! E' giusto che questo nostro progetto, non rimanga esclusivamente sull'appena citato social network; sarebbe una restrizione nei confronti di coloro che non sono iscritti. In questo modo diamo la possibilità a tutti di partecipare alle nostre discussioni, ai nostri sondaggi e alle nostre attività che ci contraddistinguono come gruppo esclusivamente Prog più attivo! Nel giro di tre mesi dalla creazione siamo arrivati a 1400 (e oltre) e siamo tutti stupiti perchè non credevamo in questa incredibile adesione! Ebbene il popolo Prog non è solo questo e cercheremo di espandere la nostra famiglia con progetti sempre più grandi, infondo sognare non fa male e noi uomini e donne Prog siamo dei sognatori perchè amiamo una musica che fa sognare! E' l'inizio di una nuova avventura e spero che tutti voi (e anche i nostri artisti iscritti) aderiate alla nostra idea!
Grazie per l'attenzione,
(ale)